GIOVAMBATTISTA BAMBARA, ALBERGATORE E GENTILUOMO ERRANTE.
Casa Bambara De Luca, immersa in un rigoglioso parco a pochi passi dall’Hotel Villa Diodoro, proprietà della famiglia sin dalla sua fondazione alla fine del XIX secolo, si mostra come il simbolo manifesto di una vera e propria religione del bello, abbracciata orgogliosamente e generosamente nel tempo da tutti i membri della famiglia.
Oggi questo angolo di quiete nel cuore di Taormina è casa di Isabella, figlia di Giovambattista e Giulia Bambara, che, volgendo lo sguardo oltre le grandi porte-finestre verso il limitrofo Hotel Villa Diodoro, riporta alla mente i ricordi di famiglia: «Il turismo taorminese iniziò con una scommessa, quando il Conte Otto Geleng, sofferente di tubercolosi, si fermò qui decidendo di passarvi il resto dei suoi giorni. Avrebbe promosso con le sue tele l’immagine di Taormina nel mondo». Così esordisce nel suo racconto Isabella, nata in seno ad una famiglia di albergatori taorminesi che ha fatto della qualità e dell’arte dell’ospitalità un vessillo e un punto d’onore.
Nel 1898, in una fase ancora iniziale del nascente turismo taorminese, a quei tempi prettamente invernale, la famiglia Bambara apriva le porte della Villa Diodoro ad un turismo fatto di ricchi e colti viaggiatori, fortemente attratti dalle antichità di Sicilia e dalle suggestioni del territorio.
Ben presto, però, il vivace Giovambattista Bambara lasciò Taormina per dedicare molti anni della sua vita a viaggi ed esplorazioni intorno al mondo. La parsimoniosa ed oculata sorella Teresa si occupò così in prima persona della gestione dell’albergo.
Di lei Isabella rivela: «Aveva un animo infantilmente delicato. Riusciva a leggere le condizioni del tempo dalle nuvole. Dalla “contesa dei venti”- meglio nota come la “contessa dei venti”- ovvero la caratteristica nuvola a forma di fungo che spesso si vede circondare il cono vulcanico dell’Etna, traeva un infallibile bollettino meteorologico. Forse è una dote che io stessa ho ereditato da lei».
Scriveva poesie e prose che, stampate poi per i clienti più affezionati, venivano loro regalati.
Erano tempi in cui i viaggiatori si fermavano a lungo, e non raramente si chiedeva ad un decoratore di fiducia di personalizzare le spaziose camere degli ospiti che pernottavano per mesi. Il decoratore dell’albergo, assunto da Giovambattista, era un tipo curioso, un artista venuto a piedi dalla Germania, la cui passione erano le lunghe passeggiate da Taormina fin sull’Etna.
I viaggiatori dell’epoca erano colti ed emancipati, con passatempi esotici agli occhi dei locali: non era raro scorgere donne che fumavano la pipa e uomini che passavano i pomeriggi ricamando.
Prosegue nel suo racconto Isabella Bambara: «Mio padre girò il mondo per anni. Fu amico di Gandhi e del Principe di Galles. Ci ha lasciato molte testimonianze dei suoi viaggi, una grande quantità di dagherrotipi e dei Cahiers de Voyage che, dopo anni, non ho ancora finito di leggere. Parlava fluentemente inglese, francese, tedesco, spagnolo e – con me – una particolarissima lingua di nostra invenzione. La sua macchina, fedele compagna di viaggi e peregrinazioni, la chiamava “u picciriddu” e sue compagne di viaggio erano tre donne, la miliardaria Miss Frances Weatherston e le sue dame di compagnia Jessie e Mary Ranken».
Giovambattista, dalle sue peregrinazioni e dai suoi viaggi, aveva imparato da un principe indiano a leggere la mano e aveva deciso di farsi realizzare dei calchi in gesso delle mani che gli apparissero particolarmente interessanti.
Lo storico albergo Diodoro ospitava, all’ultimo piano, il panoramicissimo appartamento della famiglia Bambara. Il “salotto giallo” divenne il luogo di tante accese discussioni tra intellettuali, artisti, uomini politici, nell’immediato dopoguerra. Tra questi il Conte Lucio Tasca, il Duca Franz di Carcaci, Don Riccardo Paternò Castello e l’Onorevole Attilio Castrogiovanni, leader del Movimento Indipendentista Siciliano e cognato di Giovanni Battista, per il quale fu sempre facile andare oltre i colori politici e le attitudini di ciascuno: l’intelligenza dei suoi ospiti era l’unico biglietto da visita cui era interessato.
Erano tempi in cui il tè delle cinque costituiva un vero e proprio must della società taorminese. Continua Isabella: « Ricordo il famoso plumcake del Grand Hotel Timeo. In queste occasioni la società taorminese si mischiava agli stranieri residenti ed ai viaggiatori di passaggio».
Lo scrittore David Herbert Lawrence con sua moglie Frieda e l’inglese Robert Hawthorn Kitson, solo per citarne alcuni, si avvicendarono spesso per le sale del vecchio Diodoro.
L’albergo venne completamente rinnovato negli anni ’60 secondo il gusto dell’epoca; avrebbe così continuato ad aprire le sue porte ad ospiti illustri, rispettando il paradigma tenacemente perseguito da Giovambattista e dalla sua famiglia: l’arte ed il culto dell’ospitalità.