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Figlio mio, ti risparmio per tenerti legato a me

Un’interpretazione laica del sacrificio di Isacco da parte di Abramo. L’intervento dello scrittore israeliano al Taobuk 2017. Traduzione dall’ebraico di Alessandra Shomroni.

In quanto scrittore israeliano la Bibbia è uno dei cardini della mia identità (nel bene e nel male) e pertanto ho deciso di proporre una mia interpretazione personale e trasgressiva di uno dei miti fondanti dell’identità ebraica: il sacrificio di Isacco, che fu di ispirazione al racconto della crocifissione di Cristo. Tale mito non ha solo un significato religioso ma anche nazionale per gli ebrei. Religione e nazionalità sono infatti strettamente intrecciate nella nostra identità.

[…] Una delle prime frasi che salta all’occhio nel leggere il brano biblico è la promessa fatta da Dio ad Abramo: «Io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare». Questa profezia non si è avverata. La fede ingenua e ubbidiente di Abramo in Dio, che lo aveva portato ad assecondare la richiesta di sacrificare il figlio senza alcuna spiegazione ragionevole, avrebbe dovuto, secondo il racconto, garantire a lui e ai suoi discendenti una progenie numerosa. Ma il numero degli ebrei è rimasto limitato e, considerata la loro antica origine, la profezia si è forse avverata non tanto in termini di incremento demografico quanto piuttosto di capacità di sopravvivenza.

È questo un piccolo dettaglio non strettamente connesso all’essenza della storia ma che tuttavia dà un’indicazione del tipo di dialogo fra Abramo e Dio, della sua forza e della sua concreta efficacia. Se infatti i criteri di prolificità e di entità numerica di un popolo rappresentano un valore in sé – almeno per il narratore del racconto biblico – ecco che la positiva riuscita della prova di Abramo non ha portato l’auspicata ricompensa, forse persino il contrario. Prenderò ora in esame la vicenda in sé, una vicenda che solleva gravi questioni morali. E, dicendo questo, non dico nulla di nuovo. Se io fossi un uomo di fede e credessi nell’esistenza di Dio che parlò ad Abramo e nella provvidenza divina individuale, l’episodio del sacrificio di Isacco potrebbe sostanzialmente compromettere la mia fede da un punto di vista etico, posto che l’assunto di ogni credo religioso è che Dio non è solo fonte di vita, ma anche di moralità e di giustizia. È anche noto che la fede religiosa non dipende unicamente da valori etici e, laddove esiste, è di solito in grado di superare qualunque tipo di inibizione morale. […]

Bene, torniamo all’episodio del sacrificio di Isacco. A mio parere chiunque crede in Dio ed è convinto che Dio è anche fonte di moralità e di giustizia, si trova a dover affrontare un grave problema dinanzi a questa vicenda. Il comportamento di Abramo è infatti moralmente orribile. È vero che la prima frase: Dio mise alla prova Abramo addolcisce la brutalità di Dio, lasciando intendere che il Signore non aveva intenzione di sacrificare Isacco senza una ragione ma solo di verificare la devozione di suo padre. In ogni caso, però, Dio sarebbe da biasimare per aver condotto questo tipo di esperimento. […] Dio dimostra chiaramente di potere essere ingiusto. E senza tenere conto per ora della reazione di Abramo, ecco che l’intenzione divina di sottoporlo a una prova simile è moralmente distorta. Infatti anche dopo che si chiarisce che si trattava solo di una prova, il fatto che ci sia stata una simile richiesta indica che potrebbero essercene altre, di tipo concreto.

La teoria secondo la quale la richiesta di Dio di sacrificare Isacco è stata fatta per insegnare ad Abramo che nel giudaismo non ci sono sacrifici umani non è a mio parere corretta. Innanzi tutto la questione del divieto di sacrifici umani non è menzionata in questo episodio e, in secondo luogo, Abramo non riceve nessun rimprovero ma solo parole di elogio per la sua disponibilità a immolare il figlio e a eseguire l’ordine divino. La pecca morale di Abramo è quindi più grave di quella di Dio. Senza discutere, senza fare domande e senza recriminare è pronto a eseguire un ordine insensato e ingiusto, ad abbandonare ogni logica e ogni naturale senso di giustizia, ad ammazzare un innocente per dimostrare la propria devozione e fiducia in Dio.

Questa disponibilità e assoluta obbedienza sono di ispirazione a molte atrocità commesse in nome di un ordine divino. Abramo, da un punto di vista religioso, rappresenta un modello assolutamente immorale per le generazioni future e il suo comportamento getta un’ombra sulla sua personalità di difensore della giustizia, rivelatasi, per esempio, durante il colloquio con Dio sulla distruzione di Sodoma e Gomorra, quando lui giustamente domanda: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio?» (Genesi, 18, 23) E: «Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?» (Genesi, 18, 25).[…]

Il mito del sacrificio di Isacco va dunque fermamente respinto da un punto di vista morale? Forse lo si può parzialmente salvare partendo da una posizione secolare che sostiene che Dio non esiste e Abramo ha agito in piena autonomia, per propria decisione e volontà.

Abramo ha lasciato la casa di suo padre Terach quando era ormai uomo fatto per seguire una nuova fede. Ha reciso i suoi legami familiari, tribali, ha abbandonato la sua patria, ha voltato le spalle alla fede dei suoi avi ed è partito per un paese straniero per fondare una nuova religione. A un’età ormai avanzata, e dopo aver finalmente avuto un figlio dalla moglie Sara, poteva certamente ipotizzare che suo figlio Isacco si sarebbe comportato con lui come lui aveva fatto con suo padre Terach. Vale a dire avrebbe potuto abbandonare la fede in un unico Dio a favore di altri dei e forse se ne sarebbe andato altrove.

Come poteva allora Abramo scongiurare una simile eventualità? Anziché rivolgersi agli abitanti della terra di Canaan e convincerli della bontà e della verità della sua nuova fede ha optato per una strada più facile, scegliendo di garantire la continuità del suo nuovo credo per mezzo della sua discendenza. E per ottenere questo obiettivo ha organizzato la messinscena del sacrificio del figlio: ha condotto il ragazzo su un monte, ha costruito un altare, ha legato Isacco e ha brandito il coltello come a dire: «Io sono pronto a ucciderti. Nonostante ti ami potrei ammazzarti se tu cambiassi fede. Potrei fare a te quello che mio padre, Terach, non fece a me per tenermi stretto al suo credo». All’ultimo momento, però, finge un ripensamento, come se Dio gli avesse parlato tramite un angelo e gli avesse detto: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente» (Genesi, 22, 12). Il messaggio a Isacco è quindi chiaro: «Io, da parte mia, avrei potuto ucciderti ma il Dio in cui credo ha avuto pietà di te e non me lo ha permesso. Da oggi in poi sappi, Isacco, che non a me, che ti ho messo al mondo, devi la vita, ma al Dio che ti ha salvato». […]

Secondo questa interpretazione laica Abramo, che non ha nessuna intenzione di uccidere il figlio ma vuole solo minacciarlo e intimidirlo, non può essere quindi accusato di tentato omicidio o di cieca obbedienza a una richiesta «divina» di un omicidio. Non è invece esente dall’accusa di avere terrorizzato Isacco. E in ebraico l’espressione «la paura di Isacco», nata da questo episodio, è presente in numerose preghiere e salmi liturgici. Il poeta Haim Gori ha ben espresso il terrore provato da Isacco in una sua famosa poesia intitolata Eredità. E così scrive nell’ultima strofa:

«Isacco, come narrato, non fu offerto in sacrificio. Visse per lunghi anni. Vide il bene, finché gli occhi non gli si oscurarono. Ma lasciò il ricordo di quell’attimo in eredità ai suoi discendenti. Che nascono con un pugnale conficcato in cuore».